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14 March 2025
Il suo libro “Vestire buono, pulito e giusto”, edito in Italia nel 2021, è da poco stato pubblicato anche in francese con l’evocativo titolo “Un avenir à tisser”… Con un’integrazione di 100 pagine che prende in considerazione le novità legislative europee e racconta come, dall’incontro con Slow Food Italia e dalla sinergia con sempre più aziende virtuose della filiera italiana del tessile, sia nata la grande e promettente avventura di Slow Fiber (che vi invitiamo a scoprire nel libro!). Un progetto pronto a far parlare di sé e a promuovere il cambiamento anche all’internazionale. Lo abbiamo incontrato per approfondire con lui i punti chiave della sua visione per un ritorno a una moda sostenibile.
Signor Casalini, nel Suo libro si fa portavoce di "un tessile buono, sano, pulito, giusto e durevole”. Può spiegare cosa significa ciascuno di questi termini e come si applicano al mondo della moda?
Come prima cosa, parto dal principio che la bellezza non possa, e non debba, distruggere le risorse naturali o infliggere sofferenza alle persone implicate nella filiera di produzione. Ritengo dunque sia giunto il momento di considerare come bello solo ciò che è anche pulito e sostenibile per l’ambiente, giusto per la dignità e i diritti delle persone coinvolte nei processi produttivi, sano per chi utilizza quei prodotti (posto che la pelle tende ad assorbire per osmosi tutte le sostanze chimiche residuali sul tessuto) e durevole, cioè mai usa e getta ma di qualità elevata e, di preferenza, riparabile. La moda non può – o almeno non più – limitarsi solo all’estetica, ma deve cominciare a considerare il modo in cui produce in una prospettiva di tracciabilità e trasparenza.
Si parla tanto di “fast fashion” e del suo impatto. Qual è la Sua opinione su questo modello di consumo e quali alternative propone nel Suo libro?
Non considero sostenibile un sistema che non rispetta l’ambiente – sfruttando le risorse ben oltre il loro naturale tasso di rigenerazione – né le persone e spreca più della metà di quello che produce, lasciando dietro di sé montagne di rifiuti estremamente difficili da gestire. Nessuno sforzo nella direzione della sostenibilità ha senso se non ci si impegna a ridurre la quantità a favore della qualità, consumando molto meno ma molto meglio. E ciò non significa decrescita economica, bensì crescita sulla base dei valori che contano, e che spesso non si misurano, ma sui quali costruiamo bellezza, giustizia e benessere.
Nel contesto della moda sostenibile, si fa spesso riferimento ai materiali naturali. Quali sono i tessuti o i materiali che considera veramente “buoni, puliti e giusti” e quali invece sarebbe meglio evitare?
Ogni fibra ha caratteristiche che la rendono adatta a un utilizzo specifico. I problemi sono sorti quando alcune fibre (soprattutto sintetiche) sono state utilizzate in misura eccessiva, solo perché più economiche, senza considerare a fondo il loro impatto in termini di estrazione e rilascio di microplastiche. In parallelo, l’introduzione delle fibre naturali (come il cotone) in ecosistemi inadatti ha comportato perdita di biodiversità e sovraconsumo di acqua. Il mondo del sintetico dovrebbe evolvere verso un sistema di riciclo chiuso, senza estrazione di nuova energia fossile. Quanto alle fibre naturali, devono essere coltivate o allevate secondo il ciclo naturale di rigenerazione, evitando il loro sovrasfruttamento e l’abuso di sostanze chimiche (fertilizzanti, diserbanti, pesticidi…). Non esistono materiali in sé “buoni” o “cattivi”, giusti o sbagliati: sono i processi umani che possono causare danni o, al contrario, proteggere e avere cura dell’ambiente in cui viviamo.
Il costo dei prodotti sostenibili è spesso più elevato. Cosa risponde a chi trova difficile affrontare economicamente la transizione verso una moda più etica?
Il prezzo basso di un prodotto tessile serve soltanto ad occultare i costi reali inflitti all’ambiente (estrazione di risorse, inquinamento) o alle comunità umane (in termini di sfruttamento). Questi costi li paghiamo poi molto più cari in termini di cambiamento climatico, disastri naturali, diseguaglianza, immigrazione, conflitto sociale. Spendendo magari di più, ma meglio, preveniamo queste esternalità negative; pagando poco, procrastiniamo solo nel tempo la scadenza di un conto che sarà ben più salato per rimediare a danni peggiori e spesso irreversibili. Per esempio, costa di più garantire un ambiente di lavoro salubre e sicuro o mantenere a vita un lavoratore infortunato che non può più lavorare? Costa di più produrre e consumare in modo responsabile o risanare un territorio alluvionato? Ciò detto, ognuno deve poter fare la sua parte, secondo le proprie disponibilità, senza sensi di colpa: è chiaro che un super ricco consuma risorse e inquina in un giorno molto di più che una persona povera in tutta la sua vita…
Pensa che le grandi aziende del settore possano davvero cambiare i loro modelli di business per diventare più sostenibili?
Non credo che le grandi aziende del fast fashion abbiano interesse a cambiare i loro modelli, né che la legge possa obbligarli a farlo (il New Green Deal europeo per il settore tessile rischia di penalizzare le realtà virtuose e favorire le filiere più opache e meno trasparenti): l’unico cambiamento reale e duraturo è quello culturale, che deve partire dalla base e dai cittadini che abbracciano scelte di consumo responsabili. La scossa che questa scelta positiva imprimerà al mercato sarà l’unico vero motore del cambiamento: inutile, quindi, aspettare interventi dall’alto o tecnologie miracolose. Prendiamo in mano il nostro futuro e costruiamo insieme un mondo davvero migliore!
Che ruolo gioca la durata di vita di un capo di abbigliamento nella moda sostenibile? Pensa che l'industria e i consumatori debbano ripensare il concetto stesso di "moda" in questo senso?
Secondo alcuni studi, utilizzare un capo una sola volta ne peggiora l’impatto ambientale (LCA) fino all’80%; viceversa lo si riduce nella stessa misura se l’indumento lo si indossa più volte o per più anni. La moda non è incompatibile con l’idea di un’estetica durevole: è vero, l’abito è una forma di espressione che precede la parola e il contatto fisico, ma non è possibile cambiare personalità ogni due settimane per pura esigenza imitativa, per seguire una tendenza dettata dalla iper-comunicazione social! In passato le eredità erano costituite da oggetti concepiti per resistere al tempo (immobili, gioielli e… vestiti!). Di qui la necessità di risvegliarsi dall’incubo del fast fashion che offre capi fragili, di bassa qualità che si trasformano rapidamente in rifiuti (e questi, sì, durano davvero a lungo…) e tornare ad apprezzare la bellezza sana, buona, pulita, giusta e durevole che la moda può offrire.
Quale messaggio desidera trasmettere ai retailer e alle boutique di lingerie affinché prendano coscienza e partecipino attivamente nella promozione di un modo di vestire buono, pulito e giusto?
L’essere umano mangia circa tre volte al giorno, ma è a contatto con prodotti tessili 24 ore al giorno, in particolare se si tratta di intimo. Credo dunque sia imperativo per i negozi multimarca, soprattutto se operano in quest’ambito, contribuire attivamente a diffondere la cultura e i valori di una filiera tessile che sia trasparente, pulita, giusta. Sono loro, infatti, a interfacciarsi quotidianamente con la clientela e, attraverso i loro consigli, possono contribuire in modo determinante a questa presa di coscienza oggi più che mai necessaria.
COME APPLICATE QUESTA FORMULA IN OSCALITO?
Buono Oscalito seleziona i fornitori con l’intento di promuovere e valorizzare la cultura tessile locale, di garantire il benessere dei lavoratori e di limitare gli impatti ambientali associati al trasporto. Per questo motivo utilizza una filiera di prossimità in cui i fornitori per il 95%sono partner di lungo periodo. Di questi l’88% è situato in un raggio di 200 km dall’azienda e l’81% possiede certificazioni ambientali di processo e di prodotto.
Sano Oscalito utilizza quasi esclusivamente fibre naturali (91% del totale) o di origine naturale (6% del totale), tutti i processi sono conformi alle normative REACH, il 74% dei prodotti è certificato OEKO-TEX Made in Green, il 50% delle materie prime è certificata GOTS e tutta la lana utilizzata è mulesing-free. Il 100% dei prodotti è tracciato attraverso la tecnologia RFID, dal tessuto al prodotto finito, l’84% dal filo al prodotto finito e il 35% dalla fibra al prodotto finito.
Pulito La produzione è verticalmente integrata e si svolge interamente nello stabilimento di Torino, dalla tessitura al prodotto finito, passando per il finissaggio, il taglio, la confezione, il controllo qualità e la logistica. Il 32% dei prodotti è completamente monomateriale e il 69% non è stagionale. Il 100% dell’energia utilizzata è rinnovabile e, di questa, il 35% è autoprodotta con pannelli solari. Tutti gli scarti tessili pre-consumo sono riciclati.
Giusto Oscalito garantisce la salubrità e sicurezza dei luoghi di lavoro. L’83% della forza lavoro è composta da donne. Il 90% dei contratti è a tempo indeterminato, il 5% di apprendistato e il 5% da amministratore. Nel 2023 sono state effettuate 1720 ore di formazione ai dipendenti. La parità salariale tra uomini e donne è pressoché totale (rapporto di 0,99) e il 25% dei ruoli di responsabilità è occupato da donne.
Durevole I prodotti Oscalito sono pensati per durare nel tempo (grazie all’elevata qualità delle materie prime e ai criteri di ecodesign applicati) e per essere riparabili, così da prolungarne la vita utile. La percentuale di reso per difetto è inferiore allo 0.1%. Nel quadro del sondaggio annuale di Intima Group, Oscalito ha ricevuto il Best Boutique Brand Award come Bestselling Brand nella categoria Intimo quotidiano/maglieria intima in Italia e Francia 10 volte dal 2013 a oggi.
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